Ku Klux Klan compie 150 anni, l'America di Trump lo riscopre

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Non siamo più ai tempi di ‘Mississipi Burning’ e neppure de ‘La Calda Notte dell’Ispettore Tibbs’: il primo ambientato nel 1964, quando il Sud s’opponeva al tramonto della segregazione; il secondo ambientato pochi anno più tardi e giocato sul contrasto tra la vita dei neri nel Nord-Est e nel Sud dell’Unione.
 
Ma il Ku Klux Klan, che predica la supremazia dei bianchi e che sta celebrando i suoi 150 anni, è pronto a un’ennesima rinascita, sfruttando l’abbrivio delle presidenziali e il vento del nazionalismo e del populismo, di una politica xenofoba se non razzista e anti-immigrazione foraggiata dall'ideologia – o forse solo dalle sortite - del candidato repubblicano Donald Trump.
 
Nel Sud dell’Unione, il rito che vede gli incappucciati bruciare la croce nella notte si ripete ancora. E le adesioni al KKK sono aumentate durante il doppio mandato del presidente Obama, primo nero alla Casa Bianca, così come sono aumentate le uccisioni di neri da parte della polizia e gli episodi d’intolleranza razziale. Siamo, comunque, nell'ordine delle migliaia di adepti, rispetto al milione e passa dell’epoca nera di questo movimento, fra le due guerre.
 
Ku Klux Klan è il nome utilizzato da diverse organizzazioni segrete più o meno collegate fra loro: l’origine risale a dopo la Guerra Civile e la data di nascita è controversa. C’è chi fa nascere il KKK a Pulaski nel Tennessee, la vigilia di Natale del 1865, ad opera di reduci della Confederazione, mossi dal razzismo e dal risentimento per la sconfitta. C’è chi ne vede l’esordio al congresso di Nashville, nell’estate del 1867, quando il generale Nathan Bedford Forrest divenne il primo Grande Mago.
 
Il nome ha origini colte, classiche: le prime due sillabe vengono dalla parola greca kuklos, circolo, o cerchia di fratelli. Ad accumunare gli incappucciati, tutti di bianco vestiti, pulsioni d’estrema destra, il razzismo, l’anti-semitismo, l’omofobia, l’anti-comunismo e pure l’anti-cattolicesimo, di cui sono un’espressione le croci in fiamme.
 
Storicamente, il movimento attraversa fasi diverse: fino al 1874, quando la repressione federale quasi lo annienta, è una confraternita di ex giubbe grigie. Poi, tra le due guerre, rinasce e cresce facendo eco a fascismo e nazismo, con la fisionomia razzista e le ritualità che il cinema ci rendono familiari. Quando negli Anni Venti passano le leggi Jim Crow per la segregazione razziale, nell’Unione i cavalieri bianchi sono oltre un milione.
 
Infine, dagli Anni Cinquanta, il movimento si frammenta in una miriade di piccoli gruppi spesso non collegati l’uno all’altro. Intanto, razzisti e segregazionisti perdevano le loro battaglie: l’accesso dei neri ai mezzi pubblici, alle scuole pubbliche, al voto, ai vertici della politica, della magistratura, delle forze armate, persino alla Casa Bianca.
 
La stampa mette in relazione il sussulto di ripresa del KKK con l’ascesa di Trump, che, magari inconsciamente, assume, ad esempio, alcune loro proposte anti-immigrazione degli Anni Venti. E, sulle ali dell’entusiasmo, i capi delle singole cellule paiono disposti a mettere da parte le differenze e a ritrovare un’unità.
 
Aderire al clan ai tempi dell’online non è difficile: basta compilare un modulo sul web. Requisito fondamentale è l’appartenenza alla razza bianca e alla religione cristiana. I proseliti possono poi acquistare online per 145 dollari la tunica bianca con il marchio del clan. Il numero degli affiliati non è pubblico, ma si parla di alcune migliaia. Un’organizzazione ebraica che monitora il KKK ritiene che il gruppo oggi più attivo, 'Barker's Loyal White Knights', conti circa 200 membri, mentre a livello nazionale si arriverebbe a un totale di tremila adepti.
 

Una nuova frontiera del suprematismo bianco è l’omofobia. Che ha appena subito una sconfitta proprio nel Mississippi, dove un giudice federale ha bloccato, perché anticostituzionale, una legge secondo cui i cittadini dello Stato potevano rifiutarsi di fornire servizi o prodotti alle coppie gay, se ciò contrastava con i loro principi morali e religiosi, e i datori di lavoro potevano assumere o licenziare individui il cui comportamento andasse “contro il loro credo”. Il giudice Carlton Reeves ha così impedito l’entrata in vigore della legge prevista il 1° luglio. (gp)

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