8 novembre 2016 Election Day: il conto alla rovescia

 

Hillary e Jeb, l'autunno del dentro o fuori

20150910Usaautunno

Non è l’autunno che decide chi sarà il 45° presidente degli Stati Uniti, perché si vota l’08 novembre 2016, fra oltre 400 giorni, ma è l’autunno che decide se Hillary Rodham Clinton e Jeb Bush possono ancora diventare presidente, insediandosi alla Casa Bianca rispettivamente come Clinton II o Bush III. A giugno, la dinasty sembrava un percorso obbligato e la rivincita del 1992 scontata: allora, George Bush padre contro Bill Clinton marito –vinse Bill-; ora il figlio, ex governatore della Florida, contro la moglie, che nel frattempo è stata senatrice dello Stato di New York e segretario di Stato, dopo avere fatto la first lady. Ma dopo l’estate dei disastri –per Hillary e Jeb- e del trionfi –per Donal Trump, il re mida della campagna, finora-, la partita è molto più incerta. I giochi, però, restano tutti da fare: i campi di gara possono ancora subire modifiche –attualmente, ci sono in lizza ben 17 repubblicani e solo tre democratici, ma si attende che il vice-presidente Joe Biden scenda in corsa-; i confronti cruciali devono ancora venire – a cominciare dal secondo dei sei dibattiti fra i candidati repubblicani, il 16 settembre, dalla biblioteca presidenziale di Ronald Reagan a Simi Valley in California; e le variabili imponderabili sono moltissime; senza trascurare, ovviamente, il fattore soldi –chi resta senza, è fuori-. La gare per la nomination vera e propria, con gli eventi che danno punti, cioè delegati alle conventions, inizierà a febbraio, con le assemblee di partito, i caucuses, nello Iowa e le primarie nel New Hampshire, seguite, entro fine mese da quelle in North Carolina e Nevada. Ma Hillary e Jeb devono ora impedire che le perplessità sulla loro candidatura, cioè sulla loro leadership, si allarghino a macchia d’olio e diventino handicap insormontabili. Jeb, un po’ grigio e tendenzialmente noioso, patisce l’aggressività verbale e l’efficacia mediatica di Trump. Hillary è alle prese con due ostacoli: uno sono gli scheletri nell’armadio di un percorso come il suo – lo scandalo che adesso occupa le cronache è l’emailgate, oggettivamente risibile, avere usato, quand’era segretario di Stato, un account privato invece di quello ufficiale-; l’altro è l’antipatia, per cui molti americani non sono proprio disposti a votarla. Fu questo, soprattutto, a costarle la nomination nel 2008, quando partiva largamente favorita, ma fu battuta da un giovane senatore nero, Barack Obama. Dalla sua, questa volta, c’è il fatto che i tempi per una donna presidente paiono maturi. Fra i repubblicani l’alternativa femminile latita: Carly Fiorina è l’unica n lizza, ma non buca i sondaggi-. E Trump? Mr Gaffe, magnate dell’immobiliare e showman, ha ballato un’estate, ma quella sbagliata: il partito non lo vuole perché candidarlo significa perdere le elezioni. E se corre da indipendente, non va lontano. (Il Fatto Quotidiano / Gp)

 

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